1 novembre 2008

voglio abitare a long beach (come ulisse) e fare surf

non me ne frega niente del sonno che mi verrà a svegliare domani mattina. dei compromessi della ragione e dei complimenti con i negoziati contrattuali. delle cose scontate ma non da me. e degli aghi che se entrano in vena, poi scorrono dentro, fino a rimanere per traverso. e mi fa male. inevitabilmente "off". e le banane sono ricche di potassio. e rido dell'ipocondria che ti fa amputare le orecchie. e le mie mani rampicanti. le volontà sieropositive che si stendono al sole freddo. le tempeste solari e le aurore boreali in attesa di una risposta. che mi ci gioco il telefono. esco e non rientro nei conti. regalami un libro nuovo, ti canto, ma non le solite storie. produci e cancelli nuvole. intollerabili diventano le aiuole per strada. e mi chiedi se rientro, ma non lo so. e non dormo sotto questo silenzio accecante. che non c'è niente da dire. e ora scrivo sempre, mentre prima mai. e mi porti lontano, ma mica per mano. e le ricette confezionate per stare male. il tuo salmodioso amore per le tossicoindipendenze impronunciabili. percorri e distruggi nuvole. che è passato l'esercito questa mattina dentro le mie orecchie. e uscita dal lavoro mi chiamavi subito e ora magari col pulmino sei andata in guerra a scioperare. che io non ho fatto nemmeno il militare e non un cazzo da dire a riguardo a tavola. e non so nemmeno come si torna a casa, che hanno cambiato tutte le strade in due settimane. mi dirottano. tienimi stretto. e magari qualcuno nemmeno piscia. e non posso nemmeno arrivare a capirmi da solo, non provarci tu. che dovevano transennarmi da piccolo, o forse non lo hanno fatto abbastanza. e non ci torno a casa. esco di nuovo come mia abitudine. sai dove andavamo a guardare gli aeroplani? mi troverai lì. non puoi dire quello che non sai. e non posso nemmeno immaginare alcuni momenti senza diventare cemento disarmato. e inevitabilmente tornerò a parlare, dopo vent'anni, solo per dirti cosa significa il tuo nome. che se fossi qui non starei mai zitto. e alzo ancora la testa, ma non so se succederà di nuovo. e inevitabilmente non ci sono, o almeno non dovrei esserci. dovrei ma non posso [ .............. ]
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ed ero bravo a dimenticare gli orrori di una canzone a metà. e tienimi stretto che senno mi nascondo in fretta dentro un buco nero. e rilassarti convenzionalmente ti riesce opaco. e odio pensarti opaca anche se non dovrei. e i disegni che ci coprono. e i colori per colorarci, che sono conquiste infinite. che sono tuo. e poi non pagherei l'affitto, e non posso non voglio svegliarti. ma vorrei dovrei vorreivorrei sentirti. e tienimi a bada come conviene fare per non morire dal ridere. o dal non ridere. e ricetto buoni sentimenti. e aiutami a sopravvivere senza una casa. e dammi quella costellazione quei battiti di ciglia. e conserva del tempo anche per odiarmi. e conservami del tempo per parlare. come vedi, non vado lontano di un secondo con la tua ricetta postpunk postromantica postpsichedelica postdatata posticipata, di un luogocomune, ma disabitato, che nemmeno ci appartiene, affittami nei giorni liberi. che non te lo spieghi, e nemmeno io ogni volta che apro il cellulare la sua atomica batteria, sorridono come minimo. come minimo. e apri presto domani. e nemmeno mi ricordo come si fa a disinibire la pazzia, a staccare il motore della mia vertigine compressa. dalla mia ragione, dalla mia regione, senza la mia religione. sento solo voci stanche e casematte davvero. e cambio cenno per ubriacarmi, e cambio modo per non morire di freddo. e dovrei potei vorrei continuare fino a domaninotte che lavorerò a long beach. e mi si ritorcono contro i miei capelli lasciati allo stato brado, che sono bravo a scherzare. e figurati se chiamo i soccorsi fittizi. subaffittami da questa vita errata. con il codice a sbarre. con un codice personale troppo fiscale. e rinuncia a prendermi secondo la gravità dei fatti. la gravità dei momenti troppo fatti per crescere come conviene. le credenze popolari buone per i tarli. e sbagli se pensi che si risolva tutto con il prezzo di questa bolletta, per un rapporto a basso consumo. e i tuoi sorrisi crittografati ad arte. la mia arte stradale, da statale convenzionato a questi abusi telematici. che siamo tutti diversi, come risultati di problemi di matematica quantistica. le matematiche leggi antartiche di un silenzio abusato. con i buoni sconto dei giorni a fare strade mai viste dall'abitudine pedonale dei nostri progetti di vita. che vorrei portarti a casa il sabato sera e i giorni feriali. di ferie, intendo. e le piogge salmastre al porto mi sembrano come lava. come lavate via dalla mia macchina. e questa bolletta scaduta. e una notte vivisezionata. tirata su un foglio di carta da lucido e poi presentata a lezione di psichiatria, idolatrata. e proteggimi da me. e le tende che s'intossicano con questa aria consumistica stretta da questa giungla di mattonelle. che sento che a volte mi perseguitano e mi perquisiscono. e sento che sequestrano le mie razionali calamite. calamite che mi allontanano da queste irrazionali calamità. e mi sento all'ospedale. e mi sento un osservato qualunque. che passo inosservato da tutti, ma è meglio per tutti, anche per i non credenti, soprattutto per loro. e per questo lato sul palco si prestano molte interpretazioni, con chilometri di interrogazioni da non volontario. con tutto il programma da rifare di fretta. che sbagliare capita, ma non si paga con i saggi estivi. e piangi ancora dentro le mie tasche imbottite. e mi cadono come fossero da un rubinetto queste parole inosservate anch'esse. e poi percosse come per magia da questa città sconfinata, da questa realtà sconfitta dalla razionalità. che la vita non abita sotto una coperta, e la verità non sorride per fare una foto, e i bambini non cantano per guarirsi. e figurati se non piango per ricordarmi che abito in questa strana strada vuota e appassita, apparecchiata. che le cose sono scontate, svendute, mi fanno venire i brividi. che le cose false mi lasciano indifferente. e non dico bugie come da bambino per dare sfogo alla mia voglia di colorare. che ho sempre odiato disegnare, forse perché non lo so fare. coloro e uccido nuvole, io. ci sentiamo quando cadrà la luna almeno ci sembrerà così per questa vita. che a volte penso che le mura di alcune case siano stanche di sopravvivere con certi silenzi e con certe protosfere domestiche, e di notte pregano che vengano ad esportare un po' di democrazia anche per la loro mentalesanitàedilizia. e le sento addirittura piangere questa notte riciclata e sputata qua (naturalmente qua abitano gli scarti non riciclabili)
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e sceglierò in un pomeriggio solo le mie malattie tra quelle più iridescenti, tra quelle più evanescenti e irriverenti. molto prosaico sembra questo tuono nero. e molto solido sembra questo tono vero. lasciami stare sulla mia luna e non portarmi via. e sembra un alveare ma pieno di mosche questa stanza. che sentono bene le mie canzoni stonate. ed un sorriso spento di un sonno fiero di esistere. è orgoglioso di me il mio sonno. e mi vesto per non dormire e non mangio per non morire. che potrebbe essere cancellato tutto qua e tu lo puoi fare, puoi cancellare anche quello che non ho scritto né vissuto né voluto. sorridi meno peggio del solito se non mi senti. e le irrispettose telefonate che cementificano momenti spenti e poco attenti. e sorride ancora quella panchina che piangeva contro il danubio. e le ispezioni rilanciate. e il mio percorso univoco e le chiacchiere più grandi. e tutto quello che toccavo era già made in china. soridi che ancora è presto, come in un gioco senza pinzettatrice. con i fiori di montagna disegnati sui vetri appannati, sui vetri affannati dai nostri discorsi che tremano ancora da freddo. che sono come un'ancora che mi tiene. e mangio dolci scaduti con questa nuova immensa verità. coloro di nero i miei bisogni per non morire di'invidia. "vivo, cos'altro devo fare?". mi sveglio a beirut con un identikit sfocato dal bucato notturno di un amico impersonale. mi fa male la testa se non dormo, con i crimini di pace. che il ritratto della prima uscita in mare sembra essere lussurioso dalle porte girevoli di questa città invivibile, insensibile, insensata, indissolubile, indifferente, impertinente, impiccata, soffocata dalla coppa del mondo, benvenuto presidente. che serve come supporto per un altro fine questo piano. le disintegrazioni comunitarie, accumulate in pentole di vetro. che avevo giurato su un telecomando di non toccarlo più questo pianto, ma ci sono ricaduto in questo centro asociale. con le mie mani sporche. il decentramento a fondo sperduto dei miei pensieri fa diventare questo cielo univoco uno scolapasta. e la mia operosità misurata con i nodi e la sua rotta, la sua rottura inefficace. forse non mi fermo a nondormire sul ponte, durante il ponte inesistente, non firmato, non fermato per contratto andato al mare. e le sirene che suonano da questo mare pastorizzato e tagliato. ho posteggiato male, che tanto la multa l'ho già presa secoli fa, in un'altra vita. smemorata per paola e giuliano. e il sole stanca come antidoto, guido mentre scrivo con gli occhi, in curva. e la velocità parassitaria di certe battute con il consumismo platonico di certe complessità ipocondriache.
sto così insomma

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