27 febbraio 2009

l'egoismo stellare ed un caffè

parli con la bocca piena di bugie indolori. ed è inutile che cerci di riscaldarti, non vedi che ancora tremi? non vedi che ancora tenti di capire? e lasciavi che i granchi mi camminassero sul viso nonostante gli aquiloni suicidi sui fili del telefono. o della luce. e ti metti i tappi nelle orecchie per leggere in corridoio, con i tuoi mille sorrisi. mi hai fatto aprire le finestre, hai posticipato le tende. le nostre notti americane senza ricordarsi il nome. con quell'idea precisa che è rimasta a nuotare nella mia stanza per una settimana. con gli aeroplani di carta mi dicevi di non andare. vienimi a trovare, vienimi a ritrovare. mi piace non parlare con te, mi piace strapparti le parole con la bocca. senza che tu ti copra i lividi con le risate artefatte. con gli aiuti disumanitari dei dissidenti statali. le tue ali spezzate. i bambini sulla luna a giocare. tu che ti perdi nel mare dopo che si sono rotti i miei rami. le fiabe naufragate. sulle tue costole frastagliate a picco sul mare di nebbia che s'addormenta vicino a noi. l'erba secca nei modi ridicoli di chiedere ancora in prestito delle scuse. le settimane di marea e il tuo silenzio indivisibile nella tua semplicità. i sacchi svuotati del tempo. le radici strappate di corsa per cambiare le cose. per cambiare le case. per caso, di notte. l'amore fatto per un modo ridicolo di dire. l'amore strafatto. di notte a rigonfiare le nostre ammaccature. a riparare la mente. da tutta questa pioggia che ci distingue. da tutta questa pena con i vestiti puliti e disinfettati. senza le discariche elettriche. sono stato fuori. di bugie per non dirmi delle sorprese. di te che ti svegli con una clessidra. i vestiti nuovi con le vecchie canzoni della memoria. non mi hanno trattato. non hanno contrattato. non hanno contrattaccato. svieni dopo cena e ti svegli a pranzo. che tieni lo stereo in balcone. hai gli occhi ancora fuoristrada e mi chiedi di ballare. con quegli occhi incidentati. come i miei sogni letteralmente rincorrenti. le sorprese appese. con le nostre constatazioni amichevoli. e l'amore evaso, non dichiarato. baciato dalla sfortuna. ricordati. che non ti voglio male. e piango mentre ti bacio ma tu non lo vedi. ok, non gioco. il mio trapianto rigettato. non ti rivesti mai. non ti reinvesti mai. non ti rivedi alla prima mattina nei tuoi gruppi sanguinanti. i tuoi agenti patetici. e ti viene da vomitare di fronte a tutto questo sconfinato tacere. davanti a questo sopravvivere delle nostre speranze. con le mani pulite. con i vetri che volano dentro gli occhi. per vederci meglio, nel vapore di quest'aria vivibile con te. solo con te. per le tue manifestazioni offensive. per tutte quelle mie parole avanzate per cena. e te le do domani a colazione. l'esaurimento nervoso delle nostre scorte di antigelo. nei corti circuiti di questa vita dimezzata. dimenticata in una cella di massima insicurezza con il regime indurito. che proliferano le tue commiserate assenze. contate. scontate. da scontare tra il buio delle coperte allentate dalla mia evasione le assicurazioni troppo rassicuranti dei nostri convenevoli. non molto convincenti nelle nostre dissociazioni mentali. hai anticipato le stagioni con la bocca piena di appagate liturgie. le bombe prima del mattino non hanno svegliato nessuno, nemmeno i matti da rilegare. i tuoi occhi in bianco e nero. e c'è un solo tipo di vento nei vecchi film. e ci siamo visti tutti i 179 giorni di pioggia di lisbona, la sua freschezza e le sue identiche 12 ore. non le nostre 13 alla ricerca di quella carta che paradossalmente attestasse la nostra scarna identità commerciale. esportata. deportata all'ospedale che confinava con quel parco magnificamente innocente. senza nemmeno un'ombra. mentre noi le cercavamo. Sugar è stata gentile, ci ha fatto concepire il fantastico. Mittwoch, "winding up". e molte cose sono state finite di stampare oltre a noi in quel fottuto giorno allagato dai troppi ricordi macchiati di dentifricio. "live rock-like". dei nostri subaffitti alcolizzati cantano migliaia di persone. e mi andrò a perdere a roma. entrando dalla porta sbagliata. l'egoismo sterile delle nostre militanze ossidate. e delle molte altre ossigenate. nella nostra stanza iperbarica senza il letto. le nostre fotografie coincidenti. con tanti incidenti. e poche confessioni. poche anime contraffatte. le ferite superficiali. e quelle ragionate. le ustioni all'ultimo grado di ingiustizia. le visioni insonni. i film che non sono abbastanza per non morire. quelli che muoiono dal ridere. i quaderni abbandonati per un'agenda scaduta. ma non scadente. la mia affermata inutilità. le nostre libertà incondizionate ancora. e gennaio s'è portato via la sua raccolta indifferente di crampi e colori. e dolori. le miei paure stucchevoli. dentro una tazza nuova. rinnovata. rimossa. per le tue contraddizioni. le tue controindicazioni da chi sa cosa è meglio per tutti e non per sé

25 febbraio 2009

e l'inverno forzato, senza mai ritrovarsi ne "le spade vendute"

con la bulimia interiore e la musica pronta per un cd senza destinatario. ti saresti tagliata anche tu con il mio rasoio. e cerco il vuoto che mi concedi ogni volta che parliamo dentro la mia casa senza specchi. né aghi. con il silenzio di quella musica da adottare ti scrivo che niente di questo è vero, ma tu non vuoi sentire questa radio spenta. "e così sempre sarà". fino al giorno in cui non pagherò la bolletta. ed è bello presentarsi di nuovo, conoscersi di nuovo come se non ci fossimo mai visti prima in faccia. e l'alienazione della nullafacenza che diventa una colpa. con i pugni aperti che chiudono molte strade in cui scappavamo ad occhi sbarrati. senza più il petrolio e le risate da dimenticare iniziano le ronde legalizzate nel cuore e nella testa. disarmati. e scappo io per non rincorrerti. cadere dalla finestra perché ti sei rilassato per un secondo di più. conoscerti come se non mi avessi mai sondato l'anima e tutte quelle guerre per i pozzi petroliferi nei nostri petti fossero state solo delle prove. delle brutte copie di noi. nonostante i prezzi del grigio precipitino come noi. l'abbraccio più caldo e grande l'ho ricevuto quando mi sono affacciato con un freddo che non è mia stato di casa mia. e non mi accorgevo nemmeno che le persone uscissero dalla stanza. i sensi di discolpa al centro della tavole, come fossero i fiori che abbiamo rubato a tutti. senza volerlo mi sono addormentato, finalmente. e giudicami senza mettere le mani dietro la schiena, senza chiudere gli occhi o urlare, solo per non sentirmi. chiusa sottochiave nel letto ancora freddo e nelle tue nuvole di cartapesta. e le tue finestre disegnate nel muro, come fossero poster contro la cecità passiva. per noi, che da sempre siamo stati contro le bruciature. anche se ora abbiamo un po' più caldo. e ci siamo abbandonati mentre demolivano le nostre città invisibili. con la tosse mentre leggi piangendo. "Cattedrali e Allegorie si fondano...anche quando poi siano magmatiche, sproporzionate e abnormi", "non è un poema sulla dissociazione. al contrario questo è il poema sull'ossessione dell'identità e, insieme, della sua frantumazione", "non c'è niente di più 'allucinatorio' del 'verificarsi', in atto, di qualcosa che si era prevista e descritta come...possibilità". non c'è niente di nero nelle tue indocili carezze. da combattimento. da combattente sconfitta e sconfinata. per ridere ci dobbiamo trasferire senza affittarci reciprocamente

22 febbraio 2009

ti sei sciolta nella notte più fredda dell'anno

le chiamate senza risposta alle statue che hanno i tarli, gli stessi del tuo stomaco. le gomme consumate, come noi. e le modeste stesse sere. che deludono. i sentimenti razionati e la voglia che sorpassa. e quell'identico nodo scorsoio che vorrei ogni mattina per me. a voi lascio il coro. "per la sua dentro la mia fantasia". il fragore del nostro naufragare sulle spiagge aride degli specchi e la notte più fredda dell'anno. il vino versato in fondo a destra sulla pagina bianca come i tuoi occhi che si sono voltati. con un calcio. i tuoi amori e odori. nei discorsi impegnati, impregnati. le nostre riunioni per gli arcobaleni. i film vaporosi e appiattiti. sotto il tuo vuoto. sottovuoto dentro di te. disfare l'amore al mattino. evadi le tue frani reali. i brutti sogni condivisi. le varie dimostrazioni illogiche e le tante possibilità. nelle ombre non ci accompagna niente. ma si muove nel disordine ipocondriaco. e quando conoscerò la musica necessaria per partire. e fa paura fuori di casa tutto quel gelo. che la ragione di me sta in un titolo solo. dismessa nel primo posto inutile. i nostri anni senza regali. senza annegarli nella assolata bontà. l'apertura verso la fangosa morte dei desideri biodegenerati. i premi delle critiche. le cose che non sono solo di una vita sperimentale. senza le impressioni del caso di cronaca ci siamo raccontati. e dieci minuti dopo la luce non era più la stessa. e piantarci nei posti più umidi. a far decrescere le considerazioni postdatate. le valigie estorte. le radure delle calamità. i freni demoliti per accarezzarci. mille fiori uguali in un solo minuto, ci si bagna i piedi. si confonde il cielo con te. con i nostri discount che sognano una california da derubare. e le andremo a violare. a volare sopra tutti quegli incendi esportabili. con gli appuntamenti in piscina a spiegarmi che esistono diversi tipi di omicidio. e molta gente non sa nemmeno di essere colpevole. l'effetto collaterale e allora toccava regalarsi la noia incartata con le piume sporche. con i nostri teatri vuoti e le crisi dell'ecologia. dei nostri reparti di rianimazione. e l'eutanasia delle tue foglie strappate dal geloso freddo nei discorsi impiegati e spiegati. o ti fai o ci sei. ti fai aria e sorpresa. nei quadri politico familiari della nostra età. affogati nei giardini rotti e in discesa di mirò. della nostra artificiosità. che non c'è più la volontà di diventare reali come la tua assenza di ieri. come la tua artificiosità molesta, modesta, maldestra. come la tua maglietta finita e sfilata. le esigenze pubblicitarie di alcune scuse. nelle grandi firme di firmamenti nei tuoi occhi chiusi. la tua maglia di aspirina. il cd della nuova primavera consumata. consolidata nei nostri silenzi ostili anche se stilizzati. non ti sei mai avvistata. non ti hanno mai perquisito il cuore. una casa occupata per scopare. le malattie atmosferiche e dell'altro tempo perduto. le parole chiave del cuore. le parole senza risposta ma solo con l'eco sorda, assordante. ti sei sciolta, mi hai preso e sei andata via sulle scale appese. non sono tuoi quei fiori. e ci sono chiamate che non hanno risposte decenti

20 febbraio 2009

una canzone alla fine ci ha salvati ( i pensieri sottoripagati )

non rimani sotto la valanga di grazia. e ci rimango io a pensare. a passare rassegnato ogni momento di nostalgia divincolata. le promesse e le bugie pesanti. le carezze sotto i sogni. ogni volta che tornavi fradicia di sete. ogni volta che mi dividevi gli occhi a metà. e corri senza sapere e senza pensare. le giornate senza ore. come quando hai cercato di capire dove morissero le mie paure. come se avessi lasciato appesantite le tue riserve cardiache. l'innocenza delle mani sparse sul mio corsivo. e non "sei innocente quando sogni". quando segni ancora le pagine riciclate. e niente di tutto quello che è stato rimane sul tetto vicino
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ti osservi come se nessuno ti possa vedere dentro questa tua perplessità. scorrendo via tra i fili di questo prato sincero che abbiamo calpestato. perdi il tempo che avevi guadagnato e hai troppa fiducia nel vincere con il silenzio di crema e cenere. con le tue operazioni rassegnate e ostinate, insomma, che hanno gli stessi identici occhi e portano gli stessi vestiti da giorni. che sono stati molto sudati. con le parole e le paure tutte confusamente uguali. non credi più alla stabilità antisismica nel nostro abbraccio scavato. che andava e arrivava a sondare le nostre polveri più nascoste. sottili come te. con tutto quello che fuggiva alle nostre spietate radiografie settimanali. è che credere ancora che quello spazio disabitato potesse fiorire è stato superficiale. e non c'è la colpa del vivere a metà con una precisa meta. come quando i nostri sogni ci licenziavano, che sono in crisi anche le nostre mediocrità. nonostante il contratto a tempo indeterminato. le tue bilance sentimentali e le mie manie si ritrovano ad essere solamente intercostali, nella calma apparente che questi giorni già sciolti preservano. nella mia impudicizia esistenziale. con il pessimismo che disegnava e colonizzava le galassie più lontane che avevano già tutte la porta socchiusa. il principio dell'attendere invano. gli autori dei nostri richiami lontani. le fughe di caos e delle sue teorie soppesate. con la complicità della vita. nella sua complicatezza. ti osservi e osservi tu, come se nessuno ti possa sfiorare. le nostre conversazioni con il reciproco credito esaurito. mente pensavi lentamente a quelle possibilità boicottate, barattate per un po' di fame. in quei luoghi che erano centri d'accoglienza e avevano già il fuoco, ma meno giustificato, delle nostre identificazioni. le onde anomale e animali. le osservazioni mai accolte. come noi che disertavamo le occupazioni esteriori. rasentandole e radendole in quel suolo fossilizzato nella nostra testa affittata. senza lavorarci nemmeno troppo abbiamo liberato tutti quei fiori cancerogeni che gli altri continuano a comprare nel giorno della morte dei nostri signori. dei nostri amori a rate, nella rete, nei reticolati, nei labirinti minati delle infinite colazioni insonorizzate

16 febbraio 2009

"... perchè la tua felicità ha avuto un prezzo: la mia"

e non è crollato nessuno palazzo. non c'è stato bisogno dei rifugi. delle mie gomme. e ti copri la bocca ogni volta che ridi. ed è come un sabotaggio per il lago salato che ti gira nella testa. che è degenerato nella sabbia che piove da questo cielo coperto di gelato. e ti ricordi di partire e respirare contemporaneamente, mentre urlavi tutto quello che non avevo urtato. non oso piangere mentre tramonti e mi dici che tutte le pistole liguri non erano poi così male. e ti metti a ridere quando te lo racconto

mettere il segnalibro nell'atlante astronomico

perché i capitoli sono troppo profondi. e lunghi. come le corde dei tuoi pensieri e le catene di certe tue frasi. avrei voluto correrti incontro con i piedi ancora intorpiditi e infatti poi mi hai salutato solo per decenza. ma andrò ad espatriare tutto e tutti. pettinarsi il cervello. mi dai spazio solo per farmi incastrare ancora di più mentre parcheggio nella tua testa. la gravidanza sentimentale con uno stato decisamente disinteressato. ma poi prendi le pinze e inizi a smontare tutti i limiti invalicabili che hai sotto al petto, così, senza farmene nemmeno accorgere, in due minuti di silenzio. ma colloquiale. esci e vorresti passare dal tetto, anzi, se non si fosse trasferito l'artico sul balcone, vorresti anche cenare fuori. come due eschimesi. nonostante sia impossibile decifrare il freddo. dare un premio di sopravvivenza a quello più forte. se quello atmosferico o quello della nostra atmosfera. rincalzi sulle foto sparse sul muro. prendi tutte le linee aeree disegnate nel cielo e te le leghi al polso, una per colore. così non cadi. e non cedi alle tue pretese. alle mie ore spese a rincorrerti dentro questa idea che non riesce ad avere una rima. ma poi basta il vino in questa nostra acciaieria. in una cascata del nostro centro siderurgico. in un tornado della nostra emotività in ricaduta. mi dai una mano a non dimagrire dentro. a non perdere la faccia per strada. abbiamo fatto un cesto nel letto. e poi non giri la pagina mentre stavamo leggendo, solo perché vedi le ombre dentro i miei occhi. ma sbagliavi. senza il sole e le cartoline non ci sono ombre. mi hai preso letteralmente in giro, per caso, per strada, per mano. ma poi alle 4 cadono le nuvole e cresce il bianco cotone sopra tutti i tetti e tu voli via prima ancora che finisca la canzone. non ti volti solo perché te lo chiedo io

13 febbraio 2009

la nemesi dell'inverno

la tua faccia trasfigurata dai colori mi sussurrava parole di carta. con le foglie secche che ci pettinavano i capelli. ballando senza la paura che ci portasse via il vento. nevica ma è come se non ci fossi. la solitudine matrimoniale con le lenzuola sporche. e il caldo lasciato nel letto per non dimenticarsi di dormire svegli. e siamo un po' come il cielo in quei due minuti, a metà nero e metà bianco. io da una parte e tu dall'altra del vetro. io che poi curiosamente avevo la mia faccia riflessa sul tuo corpo attraverso lo scuro della tua camicetta. e poi ancor più curiosamente te la sei tolta. dicendo che mi odiavi, mi hai baciato in silenzio. solo il sole lottava seduto sul letto. solo qualcosa da dire per non credermi più. come una risata drogata. e tutti i quadri che leggo tra le pagine. di una vita nella vita, paradossalmente come quando mi chiamavi per dirmi che pioveva. solo nel tempo della tua bella calligrafia sentimentale. con le mie pagine strappate di corsa per non sporcare. e poi ritorno ad allungare il dito contro il vetro per chiedere il tuo. mentre dormono tutti e nessuno lo sa. mi telefoni come se non fossi io e suggerirmi qualche errore. con le tasche strappate e la nuova anima dominante. è solo che marceranno anche dentro casa e noi andremo a vivere un po' più lontano. con il cuore scaduto per poter sopportare ancora in silenzio seduto sul ponte. con le poesie del sudamerica e quelle della stazione. con la paure di reagire ad un ricordo mi aiuti a non affogare, senza nemmeno avere un nome. nel cielo, come un pomeriggio non mio, sei caduta senza volerlo. con la rabbia ancora nelle vene che ti si sono strette abbracciando il cuore. stesa sul trampolino d'argento nel parco sopra il centro. sei rimasta incastrata tra le nuvole e hai paura di cadere. accarezzando l'erba bagnata come te, hai cantato per tutta la notte e mi parlavi del tuo carcere di sconfitte. inconfessabili bugie e alterità. hai pianto quando hai saputo che non c'era bisogno di rimanere per scappare. hai strappato i miei occhi e ti sei lasciata andare a tutte le recriminazioni che raccoglievi per strada. e non erano le solite sere a mancarti. non erano i vecchi giochi con le farfalle. volevi solo correre dentro un orologio dove il latte non aveva scadenza. ma poi ti sei tagliata di nuovo con le stesse parole arrugginite. guardandomi sempre con gli stessi occhi persuasi di vivere. altrove. sempre stesa hai perso quella consapevolezza del tempo che ti rendeva immune alle risposte, che le vestivi come a natale, piene d'odio e di certezza. hai spento il telefono per non dirmelo, perché così mi sarebbe stato più semplice sopportarti. la casa era bianca dentro, di più con il sole sincero. di più se io ti vedevo. ridevamo delle risate ostacolando così i nostri ricordi scalzi. riscaldando così solo il tiepido bicchiere da cui ci bevevano dentro. con il fogli pieni di disegni alfabetici. con te che piangevi quando pioveva e così mi telefonavi per ricordarmelo. con le tue perplessità autocelebrative e non te ne rendevi conto. non mutavi ma non conservavi nulla. non immolavi nient'altro che petali s-canditi. avari di possibilità e canzoni. il vetro non l'ho ancora cambiato, anche se mi ci hai tirato contro tutta la scatola. è come vivere per la strada, morire né di caldo né di freddo. ma affogato in quelle cose ancora sperse dentro me e sul divano. non scappi nemmeno. come se tutto questo fosse vero. e non hai perso nemmeno le ultime due ossa. anche se ti è rimasto il vestito rosso sul tavolo. e i corridoi si stringevano pieni di quei giorni caldi e spogliati. ti rincorrevo nelle pene del paradiso solo per spezzarti ancora. impazzito in due voci che parlavano come una. e poi mi calmavo alla sera sotto l'alluvione. venivi con me camminando sul bordo della pagina. divertiti da quell'insonnia che ci aveva contagiato. e se non hai una casa io non abito più dentro quegli occhi bianchi e piccoli, sono rimasto nei tuoi vestiti in mezzo alle lenzuola pulite. anche se non sai niente di me mi hai stretto la mano forte, come se stessi cadendo dal tuo cuore. e poi sembrava che si fosse spostato il sole sul tuo viso. la tua voce come un mare splendido, tutto piatto. e pulito come il gesso attorno al cuore mio. dedicato e odiato, muto e ateo. e il tuo corpo come una sola carezza. e mi dispiace che alla fine non c'era nessuno dentro il soffitto crollato dell'inverno scarcerato. e allunghi invece la mano sul fiore che si è consumato sul davanzale e sulle parole che ormai sono sbocciate solo molti giorni fa. non dovevi piangere per quel muto tramonto bagnato, incastonato negli occhi di dicembre. non dovevi distinguere tra l'amore e un perché ben radicato. dovevi solo guardarmi mentre parlavo di giugno con nessuno. e mi ha riempito gli occhi di adesivi colorati prima di vendermi le mani in disgelo. " e non sarai mai un'emozione da poco"

8 febbraio 2009

e aggiungevi altre nuvole

(sentire l'odore del sangue ancora tre volte. essere libero a casa. pochi i titoli seduti. come il 2 senza traslochi)
a quelle che già correvano sopra la luna quasi piena. seduta sull'altalena abbandonata impazzivi. con la ragione persa negli alberi secchi che facevano a rissa. il fiore della solitudine senza mezzi termini. le frasi scorrette da farti correre incontro. gli errori bocciati a settembre e non smettevano di suonare. sotto la tua spada. le parole di miele e la pubblicità sospesa. il senso perso nella discarica si sacrifica alla curiosità di ritrovare un nome. con poche parole affogate ancora, nel freddo che singhiozza in una rete. senza nemmeno la rottamazione

6 febbraio 2009

i sentimenti estradabili, leggero e profumato come il petalo suicida

l'unico bel ricordo rimasto. seduti di fronte alla nebbia che saliva e appassiva sulle case e nelle famiglie scolpite. le persone con gli occhi vuoti che escono di sera per perdersi dentro alle fogne. i tuoi pensieri disinfettanti che regalavano fiori chimici. senza le formule. i tuoi regali disinfettati che non si perdevano con il freddo dalla finestra. e le fughe anticipate e quelle postdatate. e ti asciughi le lacrime ogni volta dopo "Atti Impuri". con tutte le conseguenze non necessarie. le 11 torri gemelle giornaliere e silenziose. il ricordo spremuto fino al seme marcio. fino all'osso che è il tuo nuovo professore. il vento freddo che rapisce il tuo caldo parassitario. dentro le piume le rapine. il silenzio senza nome. il silenzio in fuga. e non si muore di domenica. e chi sa come sarebbero i pomeriggi sparsi in piazza. e poi che genere di domande fantastiche. senza senso contrario. demolire la giustizia delle lacrime. i capitoli sprovveduti e i giochi rotti. le nostre domande appese nel cielo terso. e margherita non ha smesso di avere paura del buio ma cammina a piedi scalzi. e parla mille lingue straniere con gli occhi. e scappano le formiche anche se non vuoi parlare e io mi ostino a non ricordare. con il detersivo di traverso. il mio bisnonno ci chiamava la mia bisnonna. e mio padre ci chiamava mia madre, speravo avesse fortuna migliore con noi. il profumo che merita. le nostre attenuanti che fanno solo ridere gli altri. sopravvivere e soprassedere. segnando le canzoni con il petrolio blu. e fantasmi della pioggia che rapinano i giorni. con quei regali che sono rimasti disinfettati ti cerco solo dentro, dove non piove come a padova. il silenzio della fuga di gas. mi metti di piacevole rumore