31 ottobre 2008

perdiamo il pulmann ti prego

una settimana tutt'altro che apatica. sotto dense nuvole di rabbia boicottata dalla ragione. che alla fine ci troviamo attorno ad un piatto rotto, anzi, pensarci bene due. uno però credo che sia di nuovo buono, accettabile. che cado sempre di botto, e rido sempre di botto. dammi da bere. e volevi darmi da mangiare che io non avevo voglia. le favole che non vengono a caso e abitano dentro questa bottiglia qua. dammi il tuo pomeriggio. che avevo paura di rubartelo a venirti a farti cadere dal letto, di botto. e non mi credi se ti dico che piove attraverso il vento. arrivava da lontano come il freddo di un libro in piazza. e io che ne scrivevo un altro dentro lo zaino poco prima ma non si poteva nemmeno vedere, né sentire. dammi da bere e regalami il mio regalo. che finiremo come "de fonseca" degli offlaga. ma con meno spirito di iniziativa da bruciare. dammi la tua valigia senza ruote. che basta un po' di aria ingoiata a farti ridere. e riderebbero tutti di più se sapessero cosa sia. dammi il sacco dei rifiuti che mi ci chiudo dentro. e dimmi dove trovo le parole che mi portano lontano, che non sono io ma sei tu. e ancora non sai niente di me. non sai cosa sei. e scheletri che ballano e cantano dentro la scatolativu. e ogni volta penso a stare fisso davanti allo stesso modo, ma davanti alla lavatrice. e amo proprio la cucina di casa tua. e le pubblicità del paradiso che deridono tutti, ma sembrano anche avere un particolare gusto a farlo con noi che urlavamo in silenzio e io che bussavo verso l'aria del balcone. e mi portano via dentro il sacco. e tu che mi dici tutto e anche di più mentre arriva la corrierachetirapisce, ma la prossima volta la perdiamo, che almeno parliamo. e queste capriole qua non mi portano lontano, al massimo mi aiutano ad uscire dal sacco. ma sto meglio e mi deprimo meno, che le depressioni della mia faccia fanno ridere solo gli altri. e il prossimo giorno delle streghe ci spareremo? finché noia non ci sorrida e ci spazzi via. ma in realtà ci farà capire altro e resteremo vivi ancora. e spazzeremo via con le lenzuola le nuvole ogni mattina senza impiccare nessuno (almeno volontariamente)

30 ottobre 2008

ieri i nostri discorsi su trasmissioni intercontinentali ci hanno ferito come frecce facendoci precipitare in un interruttore che esiste solo per noi

e non per il resto delle nostre vite. i giorni sembrano imbalsamati, plastificati per non farli stropicciare. le parole sembrano circostanziali a non essere muti. ma alla fine aspetto, solo per te che mi fai diventare cieco, come sul libro di carlo. e sento che "sono il peggiore in quello che faccio meglio" e tutto sembra coprirmi come in una tempesta di neve cancerogena, acida. ma mi scaldo con questi silenzi. non riesco mai ad andare oltre questa torbida superficialità cutanea delle cose, e scioperano tutto e tutti

26 ottobre 2008

come se avessi ucciso qualcuno

effettivamente. che non respirava più secondo l'opinione comune. che sorrideva male e distorto, per noia reciproca con la gente non comune, secondo tutti. tuoni e saette nei suoi occhi sempre chiusi. e mi riprendo gli avanzi delle sue valigie fatte di fretta prima di dipartire. vietato fumare nei suoi occhi, e nelle loro orecchie. e sorridono tutti di tutto all'odore del formaggioposato, festa mesta che marcia dentro casa. come se fosse stato in realtà un suicida ad essere defraudato dalla propria vita

25 ottobre 2008

e una maratona di biciclette portate a mano

tu che riesci a fare meno del mondo quando riesci a saperlo sul serio. tu che corri su strada proibite e rimani accovacciata in perenne tensione dentro una bottiglia. tu che ridi mentre piangi. e io che mi arrampico sul soffitto per una notte sola una sola senza elastico. tu che piangi mentre ridi. e poi continui a correre nelle tue circumnavigazioni attorno ai tuoi silenzi di plastica riciclata. che ti ho vista ridere ma mai per me. io che cerco di vedere tutto, anche fino a dove non respiri. e senti freddo da ridere. che non ti ho mai vista piangere per me. che fanno male, che respirano a stento. e diventiamo di crema come le pagine strappate. e mi sento strano, piccolo e inorridente. respingimi se puoi. e ti perdi dentro la mia voce che fa diventare la faccia viola. a volte mi devo ibernare dentro i miei incubi per farmi odiare un po'. che non fa parte di me. mandami via. e ho fame anche se non dovrei. le mie occhiaie petrolchimiche riverse su questa faccia derisa dalla benzina. cercami dentro un vaso. che si diventa santi laici per un nonnulla. prendimi per un occhio. e incollami dentro il tuo diario. a parlare di sfighe, ma non per consolarci. a confrontare ritratti di notte. e non mi vedi, e non mi vedi mai. che sentiamo la mancanza di azioni veramente irrimediabili. e irraggiungibili della loro irrazionalità. che i bisogni di ognuno piangono e puzzano. parto in direzione est a piedi, torno fra un paio di tragedie inventate, nudo e depresso, al solito insomma . le pagine bianche di malinconia. che la canzone del ciddi per svegliarsi con la luce della luna è bellissima, non come la base elettronica dei miei sorrisi pieni di virus. posso vivere?
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e non sono più vietati certi siti. e io che vorrei ribaltare tutto il tuo senso della vita, che vorrei smantellare tutti i tuoi sensi in un'oasi rilassata. le domeniche che scorrono nel porto. e io che non parlo mai di meno. che non sorrido del male che fa meno male. e depongo le armi nel wikkkend. che ribalto anche i miei occhi rappacificati dentro oasi denuclearizzate. e rido dei miei pomeriggi appassiti. la nebbia di questa notte franca era davvero troppa. carico di alberi dentro la testa, ma non si può. e rido di me, deriso da me. che combattono le oasi stanche dentro le mie mani. e le mini-idee che sorridono a farti tenere i giochi. e piangono le mie mani se penso a te che stai volando giù dentro questa domenica. in picchiata dentro la mia testa vuota. che vorrei andare a bologna venerdì, giusto per il mercatosempreuguale. che sto male anche io, nella cattività spasmodica di certe oasi inscatolate. e poi davvero i consigli tornano a casa più tardi di me

24 ottobre 2008

un ergastolo confidenziale

until tomorrow con te che riuscirai a disincantare gioia dal suo cappello magico. sono da cremare le mie considerazioni saccenti, lo so solo ora. e poi ridere strafatti della bontà dell'opera. che la tv parla. ridammi i miei buchi buoni per divaricare giorni, ridammeli per dormire senza reti e vuoti. ridammi questi miei occhi rapiti sempre da annoiate riletture. ridammi le miei mani perniciose e sporche. le case tutte uguali e divelte per strada. naturalmente accese le case. che dovrebbero riscrivere le leggi astronomiche con te, tutte da dimenticare. corriamo a cantare e ad ipnotizzare. le mie radici in cucina. corriamo a cadere meglio di come potrebbe andare sotto questo temporale. andiamo a perderci in lavatrici affittate, a sporcarci di nuovo. tutte le case disabitate che incontro per andare a casa, sembrano appartenermi. sento vicina la mia crisi economica. quattordici coraggi. e ancora lui con il suo minuscolo cane che riaccompagna la puca a casa dopo che lei è andata a trovarlo. caricami nel portabagagli. sotto la sedia libera. gli occhiali di vetro e i plettri regalati. e c'è sempre un po' di alluminio dentro alla pietra di carbone, per andare a lavorare di notte. come carezze offese per razzismo sentimentale. che la pena sarebbe dolcissima. e abbandonerei la lingua conosciuta per volare "senza citazioni". via da questa paranormale libertà. - delegittimiamo la nostra gioventù, deresponsabilizziamoci le giornate. inciampiamo contro la nostra verginità mentale. che comodo giocare con questi drammi, e il caos fa auditel col passamontagna. terrorismo a capodanno. e là saluta anche. mille ombre svendute a rate. - cancellami le canzoni dissennate dall'mptre, cancellami le lacrime dissestate dalle frasi. cancellami il terrorismo mediatico dalla testa. mediterraneamente sto oggi dentro la mia testa vuota. come se abitassi con il permesso di soggiorno questo corpo. gli attacchi dal panico, che si deve difendere da me. cercasi albero da piantare. e la danza che mi fai ascoltare mi fa impazzire. e compro plastica e non legno. e abiterò a saigon fino alla fine, e bucherò il pavimento e mi scotterò un minuto prima. prima di cedere, cadere e morire di asfissia. e poi inaugurano le industrie manifatturiere di lana dentro questo contatore. e una sigaretta lasciata a metà sembra perdersi dentro me. e tu che ti specchi in balcone e non chiudi mai. e scrivi in senso antiorario come me ma al contrario di me te ne vai correndo da una sponda vascolare all'altra. chiamami quando esci, che mi faccio sparare nello spazio. dentro il silenzio spaziale dei miei incontri. discorsi anastomizzati e silenzio atmosferico. che quell'enzima suicida lo vorrei pronunciare. ritardo astigmatico, lo so. la mia igiene fotografica cade sotto una posa. e rido da solo, imbarazzato, svenuto e vegeto sul letto. grazie del panino regalato e del sorriso ebetizio concessomi. che i fondi perduti ritorneranno a galla e si vendicheranno. fino al titolo del prossimo film solo un po' passato. le illusioni scadono, sempre e comunque. ebbene si, pragmatico. che quello che siamo è altro e per questo me lo concedo. mi riconoscerai dalla catena al collo anche se non ho mai combattuto con una divisa che non fossero i miei vestiti comuni
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che riesci a vedere la luna in uno dei millenovecentosessantotto pezzi di vetro differenti della facciata della chiesa. bagnata da me a testa bassa dopo un po' di tempo. e mi ci fermo ogni volta a pensare. riesci a prendere e riempirmi la vita. i miei sensi da non perdere mai me li porto al braccio, tutti. quelli sani e di impossibile sostituzione mi occupano anche altro. e ogni volta che cerco di chiuderti in una parte strabordi. invadi anche quello che non è nemmeno mio. ogni volta che sorrido davverosinceromicredidaicheèvero sento come un brivido, non vi distinguo. il ronzioamoroso che piove dai mie librimailetti non fa dormire che diventa estemporaneamente narcolettico per non morire di noia, stupefacente carità parassitaria devota ad una notte stregata e persa nei tuoi occhi chiusi. non riesco nemmeno a dirti di non perderti e camuffo le mie pozioni con trombe e danze, carri acidi. e le aggiunte fanno sempre rimanere come statue. fanno cagare insomma. e copio. e assomiglio. e diventano illegali di notte questi pensieri. e la tessitura sembrava semplice. che la strada per me, in realtà, non porta da nessuna parte

18 ottobre 2008

asteroidi in subaffitto dalla mia seconda persona

che bruciano interi giorni. e non so niente di quello che succederà stasera, di come sarà la musica. e innocentemente ora piango. solo ora. mentre prima trasformo parole in fuoco. brucia anche casa mia e niente dentro. bruciano tutte le carte con niente dentro. niente dentro la mia testa che galleggia. ho sognato il mare, un suo quadrato, e ci galleggiavano tanti ritratti di gente che non conoscevo e affannosamente cercavo, dovevo cercare il mio, e niente. nemmeno mi ritrovo dopo un naufragio. riesco davvero a mettere nebbia. in realtà sono io e non tu. la gravità delle parole che cadono dalle mie mani di sabbia. enormi case di carta, enormi fuochi privati. puniti come conviene. e mescolo carte di mazzi diversi. che a me fa meno male. che io ricordo. che non mi bastano mai. e nemmeno poco. la scaltrezza delle mie stronzate sta nel continuare a galleggiare e cercare di confondersi per un po'. come il resto intorno. tutto quello che precipita dalla mia bocca seppellisce domani. e vorrei essere muto per non farti del male. che la maturità me la sono fumata. e dovrebbero essere incorniciate le mie malattie. non riesco a non essere vivo se mi dimeno meno. e si sentono le casse. e la coscienza di me l'ho persa anche ieri sera. perché sto male. perché credo di essere inefficace e insufficiente. che sorridono le strade, ma perché non mi conoscono. vado a feste che non mi appartengono. e rinnovo la richiesta di ferie. che magari mi prendono al circo e divento schiavo di una vacanza. divento schiavo della vita. che già sono schivo. e mi rintracciano anche sotto terra e poi sfottono. che si sentivano le risate nervose da sopra dicono. e così mi beccano. i solchi nel mio viso, dentro la bocca, dietro la lingua. tutto pronto a colate di cemento che rilasserebbe un po' tutti. chiudimi fuori stasera, che forse staremo meglio tutti. che non merito altro che di stare per strada, ti lascio anche le chiavi della macchina. che scappiamo al parco e dovresti odiarmi, che scappo al parco da solo e vorrei odiarmi da solo. che scappiamo in australia e ci odieranno anche le piante di là

10 ottobre 2008

regalo i tuoi occhi ad un giorno migliore (und auch was wir atmen)

e impacchetto pure queste parole prese da altre mie braccia. le parole consumate perché a farsi del male diventiamo tutti ciechi. le nostre penombre quotidiane. le miserie tirate a lucido e messe alla messa dei nostri pomeriggi. che non ricordo come era salpata la mia mano quel giorno al caso. le nutrienti promesse prestate alle pagine dei miei libri vuoti. il libero arbitrio di perdersi dentro nuvole spente con il telecomando, ti regalo parti acide dei miei sguardi messi a bollire sui tuoi vestiti. le finestre aperte sulla nebbia troppo fitta regalano pensieri decorosi e da decorare per non piangere troppo facilmente. le nostre salite pesano per la detenzione dei nostri ricordi altrove. gli inverni non spaventano le migrazioni e rosicchiamo briciole, strappandoci le ali di cera a vicenda. le mie dita incollate, i bambini che piangono per quella stessa via da corsa, evidentemente. le feste indipendenti dalla gravità mentale, la sanità civile e cardiaca. le sagome delle mie locandine e le tende spesse. corro dove non so nemmeno camminare. relego invece me, in notti disperse
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e bisogna sempre cadere per piangere un po'. prima nemmeno mi accorgevo della polvere che lasciavo cadere sui nostri pomeriggi. polvere acida che corrodeva fino all'osso la tua voglia di passare meno tempo nel mondo reale con me. e vorrei, in certi tratti nemmeno troppo profondi, che fossero mie le ossa nell'altitudine. ti dico che è una bella giornata mentre sono davanti ad un cimitero. e scorre il primo freddo non atmosferico. e la doccia psicologica di colpa alla mattina. che potevo dare anche una ripassata a tutti quelli che conoscevo. un tempo cercavo risse mentali chiuse dentro bozze di gravità ordinata. ora galleggio in indeterminate oasi di fiato corto e cenere andata anche quella al mare. e non a male. che gli inferni esistono nelle nostre passerelle. mentre sfilano i miei giochi di mutismo mediocre e cancerogeno. che non sarebbe male crescere appesi alle proprie mediocrità. vivendo a vicenda. che la poesia riempe di fuliggine i miei errori, dissimula

3 ottobre 2008

fammi andare dove crescono piante nuove

arriva quando nemmeno lo sapevo, nemmeno immaginavo che esistesse l'autunno. noi che vivremo sopra i confini internazionali. non toccheremo mai terra. io non ho tempo libero, il mio tempo è solo morto. abitiamo qua dove non c'è nemmeno aria vera, ma postdatata. cerchiamo essenze dove sono solo generalizzazioni. e mi dimentico di ridere alle sue parole, mi scusi. io che ti parlo dei miei giochi e del mio pallone mai caduto. vorrei vivere per dormire e leggere quello che voglio. ma è troppo caldo per crederci. dormiamo sopra i camion per vedere le autostrade da un'altra prospettiva. e i manichini cantano meglio di chi non ci crede davvero. i campi sembrano tutti bruciati e davvero il molo ancora canta. io che scrivo canzoni per te e le canti meglio della mia testa. il mio zoo mentale spaventa anche me. e sogno di parlare come te, e riesco anche nel sogno a correggermi da solo se sbaglio. devo giocare meglio. e dormo storto e dormo senza dormire davvero. la mia personale orchestra non va mai via da queste mani. avere il pollice nero. i titoli che compaiono sempre, di continuo. ha piovuto tutta l'estate sopra di me, ma ero a tenuta stagna. arrivi tu e della pioggia fresca mi allaga l'anima. mi si sono allungati i capelli com del resto il senso di te, in ogni cosa. le cartucce scariche e le cazzate. ci sono ma non mi riconoscerai. vorrei portare gli occhiali e tornare indietro fin quando so io. vorrei avere il coraggio di mettermi nel giardino che non ho durante "la testa libera" che non ho. i supereroi non credono e non cedono ai fantasmi. e i nostri fumetti dilatano al sole. fortuna i controlli automatici. ho abitato luoghi che nemmeno ho visto riposare ma solo passare. non voglio una sveglia vicino al letto e non riesco ad accettare certe cose stupide. le sedie sono là ad aspettare il tramonto. le case non parlano ma piangono. e si che si sente bene. ritornare a spendere fede nell'altare. che certi luoghi diventano templi in onore della crescita, dell'amore e della morte. ma nessuno è veramente laico fino a tal punto. e forse già mi ci hai portato, solo che sono stordito