rinnegare dio alla stazione della benzina. esiste una definizione plausibile del contrario dell'anno luce? le indiscrezioni sobrie che boicottano le braccia sciolte al sole gelido e fucsiacidoelettrico. la più grande leggenda metropoliticana dell'esistenza è la neurogenesi. auguri a los angeles e ai miei demoni. nel giardino incandescente delle perdite mensili suona il vuoto che suona il vento. la corsa dettata dall'ipocondria svuota anche le solitudini interdisciplinari e cospicue. forse il necessario appartiene ad uno stato estero, nazionalista. le nuvole nei bicchieri sussurrano durante la tempesta le loro canzoni inequivocabilmente stanche e rauche, senza che si prospetti un riflesso in fiamme. nemmeno in lontananza metto a fuoco i miei rifiuti. parlo come i due carlo, perso nella convinzione spasmodica (convenzionale) della necessità del vuoto riempito alla cazzo con tutto quello che è inutile. manipolando gli ingranaggi regolo le mie fughe senza poter scappare o reagire a quelle altrui. concrete o invisibili che siano. le assonanze sinestetiche camminano dentro gli occhi esagerati se non addirittura puerili. trovarsi allo specchio ubriaco di risposte necessita di un ampio equilibrio d'argentostellato. come le spalle che reggono e non si muovono dal centro di questo aereo spento. le piume in ascesa dentro le mani anch'esse spente, con le minime impressioni del niente vacante. avere paradossalmente molto da dire, ma solo ora che risponde l'eco sordastronza, quasi leghista. prima di mettermi a leggere mi lavo sempre le mani e gli occhi anche se avanza lo spazio netto. il silenzio desertico, arido di intuizioni espansive. inutilmente parliamo dei fiori spezzati ma non condivisi dentro le domestiche fonti di ice. ibernati dentro l'ipersensibilità condotta per non vedere, per perdersi dentro i caselli ossessivi del soffitto. imbevute nelle tinte porpora le giornate estatiche dell'estate, di questa estate inquadrata come in un autoritratto autolesionista del caldo. si sfogano le ipocondrie delle porte pesanti da chiudere. cazzo apri allora altroancora? i traslochi ribattezzano le vite, riducono le sensazioni sensibili e ostinate. riconducono alla neve antiparassitaria nel buio diurno. come gli occhi sincronizzati al tramontocelestiale con le sue teorie affrettate, come il senso profumato di novità che ti si apre nel cuore quando per un giorno hai il permesso accordato e accorato di vedere il sole. come una vita affrettata nel viversi. aggiornandosi in disparte nella piccola crisi dei condizionali in pessime condizioni post mortem. i secoli indiani che la porteranno sulla luna a recuperare il silenzio coscienzioso della coscienza affannata. vivere nel futuro a prescindere dalla gravità dei ricordi sbagliati. degli sbagli ricordati non ne vuole sapere e li mette dentro altre scatole cinesi che giocano a pacman con le mie. la critica carica del circo arrugginito dentro la pancia. suonavano ancora le campane mentre passeggiavamo dentro i colori acidi delle nostre fotoepifanie, cantando in silenzio delle lucidità cieche o forse sorde ed eterne degli sguardi precoci. senza sapere niente raccontare tutto. senza vedere raccattare tutto. e se iniziano a stancare anche le sigarette siamo oltre il concetto di problema, se rinneghiamo anche se non spiritualmente pure le stelle assassine bisogna mettere in quarantena alcune domande. i consigli artificiali che scoppiano dentro la testa. bestemmi ma tanto è colpa tua. le istruzioni non si reincarnano. le domande emostatiche si perdono nel cielo degli occhi, ma non so se li vedrò mai davvero. attenti alla gioia. cazzo posso dire di più inutile? ma soprattutto
io dove sono?
Nessun commento:
Posta un commento