13 febbraio 2009

la nemesi dell'inverno

la tua faccia trasfigurata dai colori mi sussurrava parole di carta. con le foglie secche che ci pettinavano i capelli. ballando senza la paura che ci portasse via il vento. nevica ma è come se non ci fossi. la solitudine matrimoniale con le lenzuola sporche. e il caldo lasciato nel letto per non dimenticarsi di dormire svegli. e siamo un po' come il cielo in quei due minuti, a metà nero e metà bianco. io da una parte e tu dall'altra del vetro. io che poi curiosamente avevo la mia faccia riflessa sul tuo corpo attraverso lo scuro della tua camicetta. e poi ancor più curiosamente te la sei tolta. dicendo che mi odiavi, mi hai baciato in silenzio. solo il sole lottava seduto sul letto. solo qualcosa da dire per non credermi più. come una risata drogata. e tutti i quadri che leggo tra le pagine. di una vita nella vita, paradossalmente come quando mi chiamavi per dirmi che pioveva. solo nel tempo della tua bella calligrafia sentimentale. con le mie pagine strappate di corsa per non sporcare. e poi ritorno ad allungare il dito contro il vetro per chiedere il tuo. mentre dormono tutti e nessuno lo sa. mi telefoni come se non fossi io e suggerirmi qualche errore. con le tasche strappate e la nuova anima dominante. è solo che marceranno anche dentro casa e noi andremo a vivere un po' più lontano. con il cuore scaduto per poter sopportare ancora in silenzio seduto sul ponte. con le poesie del sudamerica e quelle della stazione. con la paure di reagire ad un ricordo mi aiuti a non affogare, senza nemmeno avere un nome. nel cielo, come un pomeriggio non mio, sei caduta senza volerlo. con la rabbia ancora nelle vene che ti si sono strette abbracciando il cuore. stesa sul trampolino d'argento nel parco sopra il centro. sei rimasta incastrata tra le nuvole e hai paura di cadere. accarezzando l'erba bagnata come te, hai cantato per tutta la notte e mi parlavi del tuo carcere di sconfitte. inconfessabili bugie e alterità. hai pianto quando hai saputo che non c'era bisogno di rimanere per scappare. hai strappato i miei occhi e ti sei lasciata andare a tutte le recriminazioni che raccoglievi per strada. e non erano le solite sere a mancarti. non erano i vecchi giochi con le farfalle. volevi solo correre dentro un orologio dove il latte non aveva scadenza. ma poi ti sei tagliata di nuovo con le stesse parole arrugginite. guardandomi sempre con gli stessi occhi persuasi di vivere. altrove. sempre stesa hai perso quella consapevolezza del tempo che ti rendeva immune alle risposte, che le vestivi come a natale, piene d'odio e di certezza. hai spento il telefono per non dirmelo, perché così mi sarebbe stato più semplice sopportarti. la casa era bianca dentro, di più con il sole sincero. di più se io ti vedevo. ridevamo delle risate ostacolando così i nostri ricordi scalzi. riscaldando così solo il tiepido bicchiere da cui ci bevevano dentro. con il fogli pieni di disegni alfabetici. con te che piangevi quando pioveva e così mi telefonavi per ricordarmelo. con le tue perplessità autocelebrative e non te ne rendevi conto. non mutavi ma non conservavi nulla. non immolavi nient'altro che petali s-canditi. avari di possibilità e canzoni. il vetro non l'ho ancora cambiato, anche se mi ci hai tirato contro tutta la scatola. è come vivere per la strada, morire né di caldo né di freddo. ma affogato in quelle cose ancora sperse dentro me e sul divano. non scappi nemmeno. come se tutto questo fosse vero. e non hai perso nemmeno le ultime due ossa. anche se ti è rimasto il vestito rosso sul tavolo. e i corridoi si stringevano pieni di quei giorni caldi e spogliati. ti rincorrevo nelle pene del paradiso solo per spezzarti ancora. impazzito in due voci che parlavano come una. e poi mi calmavo alla sera sotto l'alluvione. venivi con me camminando sul bordo della pagina. divertiti da quell'insonnia che ci aveva contagiato. e se non hai una casa io non abito più dentro quegli occhi bianchi e piccoli, sono rimasto nei tuoi vestiti in mezzo alle lenzuola pulite. anche se non sai niente di me mi hai stretto la mano forte, come se stessi cadendo dal tuo cuore. e poi sembrava che si fosse spostato il sole sul tuo viso. la tua voce come un mare splendido, tutto piatto. e pulito come il gesso attorno al cuore mio. dedicato e odiato, muto e ateo. e il tuo corpo come una sola carezza. e mi dispiace che alla fine non c'era nessuno dentro il soffitto crollato dell'inverno scarcerato. e allunghi invece la mano sul fiore che si è consumato sul davanzale e sulle parole che ormai sono sbocciate solo molti giorni fa. non dovevi piangere per quel muto tramonto bagnato, incastonato negli occhi di dicembre. non dovevi distinguere tra l'amore e un perché ben radicato. dovevi solo guardarmi mentre parlavo di giugno con nessuno. e mi ha riempito gli occhi di adesivi colorati prima di vendermi le mani in disgelo. " e non sarai mai un'emozione da poco"

1 commento:

Anonimo ha detto...

potresti restituirmi il mio cuore?