non sai cosa voglia dire respirare a malapena ancora ferire i giorni sbagliati e inventarsi un nuovo contorno alle ombre che non ci sono più diradarsi senza accorgersene avere magari un po' di tempo per assecondare l'impressione di correggersi in fondo per poi tornare nudi commestibili diventano le piccole voglie e tutte le nostre licenze l'ingratitudine dello sporco inaugurare questi nuovi giorni almeno un po' apostrofare domande sospendersi la tua bocca che diventa cenere con me le trasparenze rotte sotto i vestiti la testa con la febbre e le inevitabili carezze la loro ruggine ruvida le ore che si fanno davvero piccole sempre più spesso la tua voce stanca che mi chiama da troppo lontano io mi metto ad inventare il silenzio scucirsi nel quadro che ci mostra nudi e poi darci un bacio allo specchio senza risorgere d'invidia alberi elettrici come se fosse reale perdere ancora spazio e sangue che non esiste più in eclissi ordinate e composte non ricordo il significato fra noi senza sapere nemmeno quando sia successo (senza ammettere nemmeno gradevolmente umide evasioni) scucirsi io mi mento inventandomi il silenzio non ricalco più la distanza fra noi e la nostra giustificazione attentamente nascosta in un urlo bianco ormai pulito
25 ottobre 2009
23 ottobre 2009
"for a season"
il sole torna a casa presto mentre il muro arrossisce e i fiori rimangono a terra. tu volevi uccidere un dio per il colore verdefalso della primavera che non ha sangue. in mezzo ad un giorno, tanto al largo da non vedere. tu rinunci ad essere un dio ma poi non smentisci i sogni che tornano come persone scolorite. convinci che le storie raccontate finiscono prima di iniziare. il bordo scucito delle cose mentre piove ti porta di nuovo a lisbona. ma non ti basta l'autunno bugiardo per restare. dove non smentivi i segni che tornano come nuvole cattoliche. così la vita non ti portava via morta e legata in viso. pomeriggi inotropici. e allora costringi un dio codardo ad essere futuro. mentre la prudenza è umida e buia a casa. la geografia della fuga scende con noi. pomeriggi amniotici. con la disperazione del sudore elegante. compri sorrisi pericolosi ma non sai perché. nella mano ferma e limpida davanti alla bocca. i tuoi occhi sotto la luce arancione della sveglia restano caldi. e ripidamente bassi. che chiamano fosfeni migliori dalle mie mani. pensieri vestiti. "l'invernobrillante morto" e altri "regali bruciati". spine assetate in sillabe. occhi nudi fra eversioni periferiche. quando ci guardiamo, ma fermi. e il tempo che si lascia prendere. un'intera settimana sul punto di vomitare. forse riesci a guarire un dio ma quando è solo. per una stagione presumibilmente cosciente. in una finestra sconfinata. per una ragione
4 ottobre 2009
certe notti lasci le ferite ad asciugare e in altre tieni in caldo anche quel sangue
"conosco i tuoi occhi profondi senza un fondo. pieni di pietre come monete in una fontana. quelle sperano di far tornare le persone. da te non è tornato mai nessuno."
("where he at", "once again a fond farewell")
2 ottobre 2009
"ho piantato dei fiori qui, per te"
ci sono interi giorni distesi sui tuoi occhi. sulle mie mani sporche. sulle nostre parole stanche. le stagioni straniere che si prendono anche la nostra sete. quel giorno poi i tuoi piedi nudi di ottobre hanno accorciato la distanza del mio perdono. il tuo slancio edilizio ti fa costruire nuove case e nuove scuole colorate. dentro di me. lo scorso inverno doveva essere caldo. le mani nude come in quella domenica in cui cedevano anche le gambe. eccedevano parole di scarsa farmacia. siamo morti mille volte. come il parco poi ingiallivo anche io. che ero avvolto nella tua coperta stretta. che ero morto nella tua fretta. le stagioni arrugginite sempre a parlarsi meglio. sempre a scavarsi dentro cercando un rosso vivo. l'esilio delle nostre compassioni militanti. che vanno di merda anche le attese convinte. interi capitoli caduti in un giorno. giorni salvi. bruciandone altri interi per consumare tutto il caldo. lo scarto di un sogno e le tue previsioni dense. il mio brulicare. il mio silenzio eccessivo anche per te. quando perdo i tuoi ami neri e raccolti. quando entri dentro una frase oscena e arredi di nuovo le convinzioni. siamo morti dentro la sabbia grigia delle demolizioni. quando penso ai tuoi vestiti ordinati e alla mia voce colorata. quando sogno una risposta che parla di una fila lunghissima. l'unica persona viva dentro quella stanza con il mare. giorni distanti sui tuoi occhi. come province inopportune per la tua auto da città. allontanando cieli amezzapensione. con un dito. e poi tutte le voci che sembravano cariche di piombo. tutte le tue città spente. le nuove canzoni che mi scaldano e sono anche un po' stronzo. come mi hai detto tu. fingendo ghiaccio accarezzo il pomeriggio emicranioso. rimango di notte. ma non cambia il nome. scendono stanze vuote e libri bagnati. scendono sale e neve per restare in equilibrio. e poi riscrivo tutta la pubblicità nervosa dei miei sbagli. risparmio spazio alla nostra religione edulcorata ma non mi fa sentire meglio. giorni sommersi senza una destinazione. mi è rimasto solo un pezzo opaco di te che non mi basta più. piccole assunzioni che ti rendono partecipe di un giorno sociale. intanto io parlo di altri suicidi più o meno consapevoli. le mie figure di merda dopo due minuti che parlavamo. e poi mi ubriaco la seconda volta riuscendo solo a non farti parlare troppo. poi rimango muto io quando tu mi guardavi da lontano. malattie assordanti che scendono dai tuoi timidi ritardi. pieno di consapevolezza resisto. c'è un po' di disordine e deserto grigio. c'è un po' di digestione e fughe senza discolpe. altre onde reduci dal mondo. altre passioni equiparate a quelle dei giorni passanti. persone nude e quelle spogliate. il tuo sorriso che sembra un vestito leggero. ma non riesce a rincuorarmi. muri e mari di gomma. baci di stoffa e derisioni. "qui, dove non c'è ombra"
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