parli con la bocca piena di bugie indolori. ed è inutile che cerci di riscaldarti, non vedi che ancora tremi? non vedi che ancora tenti di capire? e lasciavi che i granchi mi camminassero sul viso nonostante gli aquiloni suicidi sui fili del telefono. o della luce. e ti metti i tappi nelle orecchie per leggere in corridoio, con i tuoi mille sorrisi. mi hai fatto aprire le finestre, hai posticipato le tende. le nostre notti americane senza ricordarsi il nome. con quell'idea precisa che è rimasta a nuotare nella mia stanza per una settimana. con gli aeroplani di carta mi dicevi di non andare. vienimi a trovare, vienimi a ritrovare. mi piace non parlare con te, mi piace strapparti le parole con la bocca. senza che tu ti copra i lividi con le risate artefatte. con gli aiuti disumanitari dei dissidenti statali. le tue ali spezzate. i bambini sulla luna a giocare. tu che ti perdi nel mare dopo che si sono rotti i miei rami. le fiabe naufragate. sulle tue costole frastagliate a picco sul mare di nebbia che s'addormenta vicino a noi. l'erba secca nei modi ridicoli di chiedere ancora in prestito delle scuse. le settimane di marea e il tuo silenzio indivisibile nella tua semplicità. i sacchi svuotati del tempo. le radici strappate di corsa per cambiare le cose. per cambiare le case. per caso, di notte. l'amore fatto per un modo ridicolo di dire. l'amore strafatto. di notte a rigonfiare le nostre ammaccature. a riparare la mente. da tutta questa pioggia che ci distingue. da tutta questa pena con i vestiti puliti e disinfettati. senza le discariche elettriche. sono stato fuori. di bugie per non dirmi delle sorprese. di te che ti svegli con una clessidra. i vestiti nuovi con le vecchie canzoni della memoria. non mi hanno trattato. non hanno contrattato. non hanno contrattaccato. svieni dopo cena e ti svegli a pranzo. che tieni lo stereo in balcone. hai gli occhi ancora fuoristrada e mi chiedi di ballare. con quegli occhi incidentati. come i miei sogni letteralmente rincorrenti. le sorprese appese. con le nostre constatazioni amichevoli. e l'amore evaso, non dichiarato. baciato dalla sfortuna. ricordati. che non ti voglio male. e piango mentre ti bacio ma tu non lo vedi. ok, non gioco. il mio trapianto rigettato. non ti rivesti mai. non ti reinvesti mai. non ti rivedi alla prima mattina nei tuoi gruppi sanguinanti. i tuoi agenti patetici. e ti viene da vomitare di fronte a tutto questo sconfinato tacere. davanti a questo sopravvivere delle nostre speranze. con le mani pulite. con i vetri che volano dentro gli occhi. per vederci meglio, nel vapore di quest'aria vivibile con te. solo con te. per le tue manifestazioni offensive. per tutte quelle mie parole avanzate per cena. e te le do domani a colazione. l'esaurimento nervoso delle nostre scorte di antigelo. nei corti circuiti di questa vita dimezzata. dimenticata in una cella di massima insicurezza con il regime indurito. che proliferano le tue commiserate assenze. contate. scontate. da scontare tra il buio delle coperte allentate dalla mia evasione le assicurazioni troppo rassicuranti dei nostri convenevoli. non molto convincenti nelle nostre dissociazioni mentali. hai anticipato le stagioni con la bocca piena di appagate liturgie. le bombe prima del mattino non hanno svegliato nessuno, nemmeno i matti da rilegare. i tuoi occhi in bianco e nero. e c'è un solo tipo di vento nei vecchi film. e ci siamo visti tutti i 179 giorni di pioggia di lisbona, la sua freschezza e le sue identiche 12 ore. non le nostre 13 alla ricerca di quella carta che paradossalmente attestasse la nostra scarna identità commerciale. esportata. deportata all'ospedale che confinava con quel parco magnificamente innocente. senza nemmeno un'ombra. mentre noi le cercavamo. Sugar è stata gentile, ci ha fatto concepire il fantastico. Mittwoch, "winding up". e molte cose sono state finite di stampare oltre a noi in quel fottuto giorno allagato dai troppi ricordi macchiati di dentifricio. "live rock-like". dei nostri subaffitti alcolizzati cantano migliaia di persone. e mi andrò a perdere a roma. entrando dalla porta sbagliata. l'egoismo sterile delle nostre militanze ossidate. e delle molte altre ossigenate. nella nostra stanza iperbarica senza il letto. le nostre fotografie coincidenti. con tanti incidenti. e poche confessioni. poche anime contraffatte. le ferite superficiali. e quelle ragionate. le ustioni all'ultimo grado di ingiustizia. le visioni insonni. i film che non sono abbastanza per non morire. quelli che muoiono dal ridere. i quaderni abbandonati per un'agenda scaduta. ma non scadente. la mia affermata inutilità. le nostre libertà incondizionate ancora. e gennaio s'è portato via la sua raccolta indifferente di crampi e colori. e dolori. le miei paure stucchevoli. dentro una tazza nuova. rinnovata. rimossa. per le tue contraddizioni. le tue controindicazioni da chi sa cosa è meglio per tutti e non per sé
27 febbraio 2009
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4 commenti:
in fondo è meglio morire.
"nella vita importa non già di essere forti, ma di sentirsi forti, di essersi misurati almeno una volta, di essersi trovati almeno una volta nella condizione umana più antica, soli davanti alla pietra cieca e sorda, senza altri aiuti che le proprie mani e la propria testa."
...
è il sangue che scava gallerie che chiamano vene e che portano al cuore (l'animo ne approfitta di striscio di quel calore)
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