e c'è un laccio di tempo dove solo una cosa è certa, ma è così tanta la confusione dei ricordi indistinti, che anche quella cosa sfuma. nei vecchi titoli dei giornali. la tua onda sul mio letto. come conoscersi dentro questa battaglia. per un cazzo gentile. un gioco facile da dire, come l'aspettarsi di meglio. oggi. come quel ballo che tremava con quella musica stupenda. tremavo da solo senza la tua mano. due viziati dal caso e dalla tua semplice allusione. la tua dolce illusione che mi culla sotto pressione. come una bambina che scappa per strada inseguita dai suoi peluche, fatti da altri bambini. non parli mai sul serio. per quei cinque minuti in cui ti ho "parlato" mi si è passato il mal di testa. senza impostarsi. sarà per la circolazione alternata. con te che seduta al bar perdi i tuoi occhi dentro i miei che si perdono da soli nel sonno arredato. con tratti e lineamenti arretrati. senza nessun confortevole autoritratto con una bottiglia di birra. abissi e spedizioni alle nostre rapine. che dovresti vedere la mia faccia ogni volta che penso ad una cosa. quella corda specifica. l'insicurezza non proprio economica di quest'anno. con i ritratti speculativi fatti male e i quadri. che arrivi a capire una cosa, la base che ti forma. almeno un po'. per la buona parte. sorridi solo con gli occhi in piena di cose da dirmi. sorridi così anche se ti vergogni e cerchi di trattenerti dietro le sbarre. con l'ansia consumata di questa stanza sottovuoto. sotto il nostro vuoto che puzza di chiuso residenziale. anche se questo paradiso artificiale non ci riempie. tu sei in ogni parola salvavita, con un depuratore dentro questa raffineria davanti casa. che chiuderà sotto una pioggia di tempo e cinica, concreta, realtà. è stato asfaltato tanto tempo. per ridere. con il trattamento dei nostri reciproci rifiuti, senza mai rifiutare una pregevole autodistruzione. quando poi tutto è da rifare come se davvero finora non fosse stato fatto nulla. come se non si fosse fatto nessuno di nulla. le nostre parole che non avevano alcun senso, apparteilgusto. di divorarsi da sole. di divorarci. le vite allentate. quelle allagate. quelle allucinate. quelle uncinate. e vedo una città contorta e distorta dal suo silenzio coltivato, da un silenzio concimato ma comunque contaminato dalla sfiducia della tristezza. come le cartoline in mare aperto. in un male aperto nel petto ogni volta che vuoi. lavarsi gli occhi per le gocce. le malattie arenarie delle nostre spiagge mortali. immortali malinconie. i nostri buoni partiti. che s'allacciano in birre confusamente felici bevute da soli. senza nemmeno guardarsi con gli occhi chiusi. capannoni pieni di compleanni non festeggiati ma ricordati con un po' di fiori polivinili
15 marzo 2009
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1 commento:
perche la favola finisce cosi male? e' la vita che ti condanna o le vite di tutti portano ad una tragica favola senza morale? complimenti comunque.. ogni parola e' emozionante..
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