per cercare di fare cerchi precisi e stabili. che conferiscano ordine alla sua periferia. le sigarette che separano buddha dal portafoglio. e quando piove si va piano, decisamente. il sudore che si spegne e si mescola alla saliva. la profondità della digestione che dura un anno e ancora non è finita. un anno fa questa notte era freddo. i tè erano due e sembrava impossibile arrivare al mattino. questa mattina all'alba per trenta secondi ha nevicato ma non lo sa nessuno, e io non lo confesserò. non confesserò mai all'aria della sua spudoratezza. non taglierò mai un giorno per allargarlo. consumerò la mia dose di nullafacenza in pericolose cattedrali stanche. succederà stranamente e non si saprà. mi perderò senza tornare a galla e rimanendo attento alle soluzioni. non mi troveranno neanche quelle ascensionali, tutto è convulso. la nebbia dell'india, le mattine tutte uguali così tanto da non ricordarti una parola. non respiri perché hai avuto troppo di tutto o non hai avuto niente. le stelle che non vengono collaudate mai a lungo termine, le pericolose coincidenze mediche. ubriacarsi fino a dimenticare da dove si è piovuti. i giorni che sono impermeabili fin dentro alla violenza contro l'asfalto. fanculo le rette, le curiosità e i racconti inutili
28 dicembre 2008
27 dicembre 2008
la cosa più difficile da capire si rompe dentro lo specchio
le strade sono curiosamente più pulite a natale, sarà che si pretende pulizia e gli spazzini diventano più solerti o magari sarà che tutto quello che lasciamo di solito, lo lasciamo dentro casa. i discorsi si pettinano meglio e succede stranamente di parlare lento e bene anche negli angoli puliti. il tempo può essere rubato, è talmente indifeso che nemmeno si riesce a difendere e non succede niente nel tempo che gli permetta di essere migliore e resistere. amo la distanza che può essere colmata fino all'orlo dei suoi spigoli taglienti, che può essere adornata con mille parole pateticamente più inutili della nebbia fresca. altri tipi di nebbia non sono invece poi così inutili. è semplice perdersi in questi giochi artificiali, rinunciare a capire qualcosa di concreto. è semplice parlare per tutto un pranzo e poi tornare nella nebbia fresca. è semplice, sin troppo semplice, coprirsi ogni mattina con la stessa coperta. l'ordine appassisce la curiosa dinamicità dei miei quadri senza disegni. le paure sono difficili da potare per farle crescere meglio. non obbediscono nemmeno lì. sarà come piovessero tutte le promesse con i loro petali complessi. sarà pieno di attese e rinunce precise e producenti, almeno si spera. il pensiero diseredato che approda con un silenzio semplice e onesto, il più difficile da digerire. i discorsi che diventavano operatori ginecologici delle idee malsane. le parole disegnate dentro la testa, le parole che si sposano per divorziare dopo due secondi senza aver nemmeno scopato per finta. in quei magici secondi durante i quali realizzi che la tua testa è come una miniera abbandonata, ti abbandoni di nuovo alla lascività costernata del freddo concreto. i giri semplici da smontare e metterti dentro la bocca contrita dalla coagulazione. la forza divina della coagulazione rinuncia a cadere dentro questa storia stanca di girare. e prima o poi costruirò una casa con tutti questi oggetti disadatti. le corse contro il contrattempo di credere ancora nella possibilità di vivere dentro un albero scavato dentro la sabbia della tua pancia. tutte le lettere che galleggiano infondo a quel santificato tombino. le sigarette decapitate durante la rivoluzione borghese. per coerenza molte cose non dovrebbero essere cercate di nuovo, rianimate e poi lette. la profondità espandibile nonostante tutto quello che poteva capitare dentro una macchina. alla fine mi viene sempre la stessa domanda, ormai stanca. e appena dopo questa fine viene affannata e ubriaca la risposta, così ubriaca che non le credi e rinunci a rispettarti e a rispettare tutto quello che di notevolmente meglio avresti potuto fare in due minuti di merda
24 dicembre 2008
così tanto da essere assuefatti
non sai nemmeno come si fa proteggersi dal vento. non sai nemmeno a questo punto se il vero problema sia il vento. non sai più da dove venga il freddo. assicuri presenza nella casa terremotata. con quegli occhi invivibili. con lo stomaco disabitato dalle sensazioni. le paure pulite e serie che nemmeno ti permettono di avere il bisogno di scappare. ti tieni il colpo a mente, non devi svenire dentro la pancia. non devi capire dentro la mia scarna inosservanza. disobbedisco all'igienica ipocondria. come posso rimanere in piedi? come si chiamano i colori nuovi? come si asciugano le parole dopo che hanno pianto? scappano anche le nebbie inosservate. accorrono nuove tempeste di familiarità accettata. sorrisi indecorosi che arrotolano i pugni della società. le colpe senza fiducia. i coltelli ammanettati agli schiaffi. non volere andare al lavoro per paura. con la casa che vibra. sorrisi coincidenti e coincisi. i pianti incisi. scolpiti e colpiti. le lacrime che deviano fino alla pancia rossa. le vacanze in vacanza. le vacanze impazienti. le necessità arrugginite che ormai corrodono una domanda. dove finiscono le scale di questa ruota? e c'è chi si ritira nella sua oltranza. gli insetti egoisti che non ti si scolano neanche sotto una doccia di seta. riesci a respirare dentro la tua vita? le macchie ridono delle mie fedeltà
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mi dispiace per tutti quei tramonti che sottolineano la crudele necessità di molti giorni dissipati a morirti dentro come polvere. riuscire a vivere senza il senso pratico delle circostanze ammaccate. il senso deteriorato che ti manda a scappare dentro una fuga. le fughe di gas che fanno volare le mongolfiere. nemmeno le etichette si guastano dentro questo vocabolario ipnotico. il canto di eleonora al suo soffitto. le pagine strappate a metà. sottolinearsi come facile pretesto per credere davvero. credere davvero che l'assenza renda vivi e liberi. mette a fuoco gli assalti retroattivi. degenerano le malattie delle aiuole sfiancate. le bandiere tossicodipendentiprecarie. la comodità con angolo cottura delle risposte. i tramonti succinti delle tue convinzioni. che si suicidano i contribuenti dei miei contro. che mancano le bozze, e mai gli inutili tentativi abbozzati. le tranquille memorie della sensibilità bilaterale. le mescolanze ingiuriose dei miei pensieri. gli anni come sussidiari, come molecole addormentate. le carezze appassite e passive. le carezze bypassate. il mio tono umiliato dall'arcobaleno si ferma contro le nuvole vere e nere dell'inverno
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io che non avevo nulla mai da raccontare. le lacrime non arrugginiscono nulla. e non appartiene nulla alle regole trascritte della normalità. e oggi avrei proprio bisogno di qualcosa che mi sai dare farfalla. i coltelli. svegliarsi già paralizzato. svegliarsi già contaminato. il senso che deve essere messo al quadrato per respirare. le lacrime al buio. la rappacificazione detassata. io che non dormo leggero. mi si girano gli occhi per decenza, e sembra che la neve canti davvero in modo silenzioso, se mai ci fosse. come se le perplessità fossero di carta plastificata. e mi taglio profondamente, che le parole perfette e belle le abbiamo lasciate in pace, a dormire gentili dentro gli occhi degli altri. i miei occhi disabitati, invivibili, invasati, invasi. ogni volta che scappo i ponti s'inginocchiano e le bottiglie di birra s'affacciano tutte in riga ad ogni finestra. e le risposte sembrano migliori di quello che uno si aspetta da questa realtà. le televisioni volate in mezzo alla strada. e come per disincanto s'accendono e non credi sia possibile ritrovarsi in questa puzza. non siamo niente se crediamo di volare, se abbiamo pretese accese
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io che non avevo nulla mai da raccontare. le lacrime non arrugginiscono nulla. e non appartiene nulla alle regole trascritte della normalità. e oggi avrei proprio bisogno di qualcosa che mi sai dare farfalla. i coltelli. svegliarsi già paralizzato. svegliarsi già contaminato. il senso che deve essere messo al quadrato per respirare. le lacrime al buio. la rappacificazione detassata. io che non dormo leggero. mi si girano gli occhi per decenza, e sembra che la neve canti davvero in modo silenzioso, se mai ci fosse. come se le perplessità fossero di carta plastificata. e mi taglio profondamente, che le parole perfette e belle le abbiamo lasciate in pace, a dormire gentili dentro gli occhi degli altri. i miei occhi disabitati, invivibili, invasati, invasi. ogni volta che scappo i ponti s'inginocchiano e le bottiglie di birra s'affacciano tutte in riga ad ogni finestra. e le risposte sembrano migliori di quello che uno si aspetta da questa realtà. le televisioni volate in mezzo alla strada. e come per disincanto s'accendono e non credi sia possibile ritrovarsi in questa puzza. non siamo niente se crediamo di volare, se abbiamo pretese accese
23 dicembre 2008
gli appelli arrugginiti dentro le stessa stanza
nel giorno del giudizio infernale mi sono perso per strada, in autostrada. il freddo era pestilenziale ma faceva meno male del resto. che cercandoci facciamo girare il mondo. che ci sono libri che devono durare venti sigarette. ci sono anonimi sequestrati. ci sono anonimi ritrovati. e c'è chi dava i calci ad angela, e ci sarà. nel deserto delle novità crescono piante acide. nel giardino è passato il passato. non cercandoci non ci sono le stagioni. le parole ottengono forma a seconda della musica. e gli aerei dipingono strane perplessità. e le calamite rimangono incastrate in certi ricordi, in certi discorsi. nel giorno del giudizio infernale c'era la sigla e mi sono messo a parlare con la forma sfiduciata della fortuna. mi sono messo a parlare dentro un megafono, che era un po' una roulette russa. il fatalista abita in cantina. e con il tempo diventiamo sordi e scadiamo. e ci sono racconti appesi ai ponti. i diritti in bianco e nero che suonano. gli ascensori senza musica. e ci sono giorni da decantare. comunque sono sempre storti i miei paragrafi mentali. e quelli reali. ci sono situazioni da claustrofobia. e ho visto piangere sotto le coperte, ho sentito urlare del s. . e ci si dimentica di ridere. e si perdono soprattutto tutte le calamite che hai bisogno di peso. hai sentito davvero piangere p.? distruggersi dal pensare sopportando i tatuaggi invisibili. e sai benissimo che non c'è cura per vivere. alla mattina ti aspetta sempre qualcosa quando sei bravo. e sogni di dormire almeno. e non c'è mai stata candy. capovolgere i giorni disidratando le domande. e sono felice di spegnermi ogni mattina. le mani con il nastro viola che sono ancora viola per i nodi degli occhi, il senso paradossale che è rimasto paralizzato dentro te. e ti metti a chiedere e ti metti a giurare e a chiedere mezze cose, che ad una intera nemmeno ci credi più. concedersi un viaggio per morire dal sonno e non morire di freddo, di sordità e novità in cattività. sempre meglio delle risposte a vista, delle risposte scoperte e ancora non cicatrizzate. il letto che brucia di lacrime non mie. il sabato che diventa senza parole. e le parole che iniziano ad essere senza giorni, senza fili e senza rete. senza me
19 dicembre 2008
esterno
alla sera ci sono greggi di panchine stanche di aspettare. c'è anche la storia dell'arredamento dell'autunno con tutte le possibilità esaudibili. si sono dimenticati di spegnere la luce. ci sono piccole perplessità che ballano sui ricordi di belgrado. ci sono infinite e bellissime passeggiate dove la strada non passa sotto le scarpe ma dentro la bocca. di giorno ci sono anche cenni inutili, specchi forzuti che si spaccano anche se sono convinti di essere migliori. di notte ci sono sonni irrisolti e sconfusionati. pensieri inutili che ti si aggrappano dentro le idee depresse e devi sforzarti di ricordare e non far morire nell'anonimato. ci sono cazzate che non si stancano mai di accadere. ci sono storie mute e monche. ci sono magliette mai messe e possibilità di fuga. c'è la semplice nostalgia dell'essere ancora a galla. i ricordi più piccoli che stringo ancora le mani. dentro il passato ci sono cose che non meritavano di essere dette. ci sono migrazioni e neonatalità. ci sono storpiature inattese e coinvolgenti. c'è sempre il tentativo di non arrendersi alle domande. c'è luigi che saluta in silenzio e muore per protesta. c'è il caso di trovare una poesia bellissima. forse c'era solo il bisogno di dormire. non penso che domani busserà ancora lo spazio che si allarga anche se non lo vedi. forse non c'era nulla da dire
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l'esperienza fantastica di essere lucidi, mentre le stelle aprivano solo voragini dentro la testa. e dai troppo peso ai pensieri, che invece alla fine pesano un cazzo. preferisci metterti dentro la testa tonnellate di luce, mentre il resto, che conta, te lo lasci doverosamente dietro. come i fazzoletti bagnati per strada. perdi tutto, anche la nostalgia. ti metti dentro le paure e il dolore che è una cosa fantastica. ti si spengono. non so quello che vedo, non so quello che voglio (non sono quello che vedo, non sono quello che voglio). e rimane a galla solo una bambola che è facile da esaurire
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l'esperienza fantastica di essere lucidi, mentre le stelle aprivano solo voragini dentro la testa. e dai troppo peso ai pensieri, che invece alla fine pesano un cazzo. preferisci metterti dentro la testa tonnellate di luce, mentre il resto, che conta, te lo lasci doverosamente dietro. come i fazzoletti bagnati per strada. perdi tutto, anche la nostalgia. ti metti dentro le paure e il dolore che è una cosa fantastica. ti si spengono. non so quello che vedo, non so quello che voglio (non sono quello che vedo, non sono quello che voglio). e rimane a galla solo una bambola che è facile da esaurire
13 dicembre 2008
tutte le foto non fatte e la macchina in camera
moriva lui e morivamo anche noi appena si affacciava novembre. la nebbia solforosa che senti soffiare nelle orecchie. i cazzeggifici con tante foto posate. i sorrisi di plastica dentro le cornici appese che s'infiammano. non arrivo nemmeno a capirmi dentro questa ansia di ordine. le aiuole altrui che disseminano divieti sentimentali. la paradossale frequenza di indirizzi inadatti. prendo la scossa mentre rido e rimango a piedi dentro questa trama sfilacciata. gli infarti attribuiti nonostante non legga niente da molto tempo. il museo della mia stanza e la polvere. le scadenze che si mimetizzano dentro sensazioni confuse e devianti. deviati su una strada morta e allagata da regole e pessime misure di tempo. il sonno che si divincola in questa settimana febbricitata. sognare di poter andare in cile dentro una scatola. chiedersi se poi davvero i bambini siano buoni. le sigarette fumate dentro la febbre ondulatoria. le aspettative in aspettativa. le parole in coordinato a precisi ricordi riconoscibili al solo odore secco, coagulato. i nuovi profumi che svengono e non si riprendono. non cammino e mi siedo dove i contratti sembravano essere reali e concreti. le bolle che esplodono sotto un inverno troppo reale. un mare che non è più mare. un ciddì intero che ad ogni canzone parla e non si secca. le emergenze metereologiche dentro la mia macchina. l'aria spenta. e cade la luna e le favole, cade il ghiaccio e i bambini. animali al pascolo ma sotto il suo vuoto disabile e cieco. non siamo una bugia, ma solo "quasi adatti" a credere a tutte quelle che ci dicono essere possibili
8 dicembre 2008
staccando le braccia da un romanzo
le radici nere di alcuni fogli di carta ti mettono paura se le vedi di notte dentro i tuoi occhi. i discorsi vaporizzati dentro bottiglie vuote e rauche. le stelle che hai lanciato dalla finestra cadono tutte quando piove. sentirsi meno male. il condividere apprezzando il male necessario. le divisioni che hanno il resto individuale. le parole che riempono racconti vuoti che si devono inventare per non essere. i tuoi tramonti extrasensoriali che ti si depositano come mosche sugli occhi. guidare o non guidare? frenarsi un po' a pensare. dentro le strade come angoli. dentro una macchina ferma al freddo istantaneo delle ginocchia. le droghe gommose e commosse rimaste di traverso. le stelle da spionaggio. e già stanno vendendo la luna per rilassarsi e prendere pazzia. l'impegno per ricordarti di te che se no esci senza. prati di macchine. i mali estinti dalle ere glaciali e i sopravvissuti amputati dentro reti di soccorso. le occasioni mancate per decenza con radiografie di discorsi inutili appuntate di fretta in sere da collare. da accollarsi. appoggiarsi al muro per non cadere dentro le altre case. ipnotizzato dalla fretta di scappare dalla realtà ti sei accorto che il peso delle delusioni rimane calcificato nelle buie strade delle idee tutte uguali, come un colore nuovo e indelebile che sottolinea la sua impermeabilità sensoriale. e senti ancora ghiaccio nuovo e fresco di posa, o forse ancora in opera. senti il graffio deludente delle dimostrazioni, senti tremare le gambe ad ogni starnuto. senti una voglia di credere che non basta a farti alzare dal letto. senti una necessità che effettivamente inizia a stancare. l'eco delle domande rimbomba dentro il cuscino bacato e bucato, dentro il camino che hai in bocca. dentro le novità vedi riflesse le vecchie speranze scadute. senti l'innocenza come una moda scontata e insensata. senti che il male appartiene alle convinzioni più ferme e stabili, cosa che non avevi mai saputo. senti che per fermarti servirebbe un treno che necessariamente devi avere sotto il culo per andare lontano dalle formule meccaniche. ma sai sempre che rimani ad aspettare di fronte a montagne di paraurti forse usati e forse nuovi ma comunque sicuramente altrui. sassi dentro le nuvole e la neve negli occhi, delucidazioni inutili da digerire. inutili da filtrare dentro la testa di marmo. non leggere "il mestiere di vivere". e c'è un perchè già sbocciato da un po'. gli anniversari senza festa, con la festa scomoda come un cadavere in tasca. auguri m. riscriversi ancora, in versi amputanti e febbrili
5 dicembre 2008
giorni che non vorrei svegliarmi e giorni che non vorrei andare a dormire
l'impegno per curarsi dalle urla. le urla che si dimenticano e quelle che non si dimenticano. il giusto peso dato alle coseindecomposizione per divincolarsi dalle sabbie immobili che siedono sotto di me. e dalle mie piste non partono viaggi sani. e se le città fossero al buio?
il mare che ci separa dal cielo
sorsate di prima-vera senza apnea. sempre più tardi vedo il letto e poi il giornotuttouguale. le stelle decadenti come non mai ma senza togliere lo stress. rilassarsi per sport. le case con i vuoti d'aria e le scale con il vento. la tosse di questo vento. le risse verbali dei miei monologhi incandescenti. le foto mai fatte ma sempre con gli occhi rossi di acidosintetico della luce che viene da dentro. sentire di aver pestato solo una merda incandescente. sentire che solo in un luogo che conosco avanza il ghiaccio. appesantito dalle mie notevoli capriole dentro discorsi senza sbocco. alla fine ti senti sempre in divieto. il silenzio delle epifanie con gli starnuti secchi. le carezze con i lividi della vergogna che non si arrugginisce. la trascendenza delle convinzioni rimane a galleggiare dentro la mia fede nella possibilità di volare via. ma non vola. imparare tanto sul lento peregrinare delle abitazioni confortevoli di quando senti freddo. camminare contro gli anni. manifestare contro i ricordi migliori del presente. come manifestare contro la chiesa. marciare contro la pioggia fredda. perdersi dentro la metà di un libro messo dietro la cassetta dei miei avanzi. cambiare canale per affogarci meglio. la musica spenta, le persone spente, gli occhi e le pagine. la voce a scaldare l'acqua e non lavarsi i denti per non dimenticare ciò che hai masticato e sputato. non dimenticarsene mai. i sorrisi concettuali. l'argentina a rate. la macchina affogata. il diluvio provinciale dentro la mia testa che poi proprio per questo affonda ancora meglio dentro la città. i segnali. orione tempestosa e la mia testa da rottamare. le chiamate al lavoro per urlarmi della depressione di m.m. e poi tanto muoio comunque. gli occhi di fumo e non ricordo altro da strappare al silenzio
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e poi devo essere conservato che se no sono invisibile. invivibile. e poi senti la voce che parla e sembra che in realtà stia piangendo, e continua a farlo da mesi. e io non ascolto nemmeno più me stesso figurarsi se ascolto musica ancora rara. figurarsi se mi ricordo di spegnere il vento che trema dentro questa stanzasottovuoto. ma poi ancora le risposte che scioperano, che stronzo. saluta a stento, salute a stento. e vedo prima di dire, e sento prima di parlare. manca sempre un po' di treno e antibiotici a questi occhi disinfettanti. magari lo fossero. e i nonfidanzati sposati. le pazzie senza progetti. le passeggiate carcerarie e non so cosa vuol dire. e senti solo una stella che sciopera e vedi solo immagini. non trovo spazio a questi schemi che poi non lo sono nemmeno. servirebbe altro ma costa troppo essere un eroe. le medicine apolitiche delle storie senza una fine sociale. le strade perdute che vanno conservate per non perdersi, anche se sai che non portano lontano. le sensazioni che non salvano e vedi intorno solo un cimitero di occasioni morte dentro una penna leggera. che se tutto rimane senza didascalia è meglio, che tutto si può cancellare e si sa bene senza camminare. non arriverà mai la prima classe. nello scolapasta nella mia testa rimane solo la malattia più colorata e non tutti i sintomi e io ho bisogno di quelli per non sentirmi meno reale. rimane a malapena la ipertensione di certe frasi dimenticate
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e poi devo essere conservato che se no sono invisibile. invivibile. e poi senti la voce che parla e sembra che in realtà stia piangendo, e continua a farlo da mesi. e io non ascolto nemmeno più me stesso figurarsi se ascolto musica ancora rara. figurarsi se mi ricordo di spegnere il vento che trema dentro questa stanzasottovuoto. ma poi ancora le risposte che scioperano, che stronzo. saluta a stento, salute a stento. e vedo prima di dire, e sento prima di parlare. manca sempre un po' di treno e antibiotici a questi occhi disinfettanti. magari lo fossero. e i nonfidanzati sposati. le pazzie senza progetti. le passeggiate carcerarie e non so cosa vuol dire. e senti solo una stella che sciopera e vedi solo immagini. non trovo spazio a questi schemi che poi non lo sono nemmeno. servirebbe altro ma costa troppo essere un eroe. le medicine apolitiche delle storie senza una fine sociale. le strade perdute che vanno conservate per non perdersi, anche se sai che non portano lontano. le sensazioni che non salvano e vedi intorno solo un cimitero di occasioni morte dentro una penna leggera. che se tutto rimane senza didascalia è meglio, che tutto si può cancellare e si sa bene senza camminare. non arriverà mai la prima classe. nello scolapasta nella mia testa rimane solo la malattia più colorata e non tutti i sintomi e io ho bisogno di quelli per non sentirmi meno reale. rimane a malapena la ipertensione di certe frasi dimenticate
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